Ancora un articolo sul sito del Corriere della Sera, analizza le contraddizioni dell’Islam nelle sue mille manifestazioni in rete. L’intervento fa riferimento al saggio Islam in the Digital Age di Gary Bunt, professore del dipartimento di studi islamici dell’università gallese di Lampeter.
L’ISLAM VIRTUALE: L’IDEA DEL SACRO E DEL DIRITTO NELLA RIVOLUZIONE DIGITALE
Published novembre 5, 2010 Uncategorized 1 CommentVi invito a leggere questo interessante articolo di Claudia Genzano, Dott.ssa in “Storia e Società”, Corso di laurea magistrale presso l’Università degli Studi Roma Tre. Di recente ha approfondito i suoi studi nel campo della storia e delle relazioni internazionali, con particolare riferimento ai rapporti tra l’Europa ed il Medio Oriente.
Questo intervento analizza il rapporto tra Islam e nuove tecnologie, su tutte la rivoluzione web, fornendoci degli interessanti spunti per comprendere appieno come il web abbia provocato dei cambiamenti nell’Islam “occidentalizzando” alcune pratiche quotidiane e modificando il modo di rapportarsi alla religione, soprattutto permettendo alla pluralità di musulmani di conoscere alcune correnti islamiche minoritarie, prima emarginate, che adesso godono di una vetrina importante per manifestare il proprio credo.
Turchia: A 48h dallo sblocco di YouTube, torna sui suoi passi
Published novembre 4, 2010 Logout 1 CommentL’aspra politica censoria che aveva impedito l’accesso agli internauti Turchi al sito YouTube dal 2008, sembrava essere finalmente finita. Ma l’illusione è durata poco.
A 48h. dalla decisione di revoca del blocco imposto da 2 anni al sito YouTube in Turchia, l’Authority per le Telecomunicazioni torna sui suoi passi ed impone un nuovo oscuramento del noto servizio di Google a seguito di una sentenza del tribunale di Ankara. La causa scatenante sembrerebbe essere identica a quella che aveva scatenato il governo 2 anni prima: il rifiuto della rimozione di un video che in questo caso mostrava Deniz Baykal, ex leader del Partito Repubblicano del Popolo in intimità con una donna.
fonte: ansa.it
Bloody Map: una mappa per sfratti e demolizioni forzate in Cina
Published novembre 4, 2010 Login 1 CommentDopo l’esempio di Ushahidi, un nuovo progetto nasce in Cina. Bloody Maps ha lo scopo di monitorare e denunciare tutti i casi di sfratti e demolizioni forzate in Cina, finite nel sangue con atti di violenza, con il fine ultimo di informare i probabili nuovi acquirenti di questi immobili e metterli in guardia da questi metodi illeciti, tutto sfruttando la piattaforma Google Maps.
Ne dà notizia Global Voices attraverso un interessante articolo. Dati i numeri (70.000 accessi e 82 casi denunciati), sembra che il progetto abbia avuto un notevole riscontro. Le iniziative in tal senso, continuano a proliferare, chi è capace ancora di sostenere che il web sia una perdita di tempo?
Spesso ci si chiede quale sia il reale contributo che la rete offre nella vita reale. La domanda non riguarda certamente i già evidenti risvolti pratici quali pagamento di bollette, acquisto di merci e beni e neanche quelli ancora più evidenti di comunicazione.
Nell’anno appena trascorso ci si è spesso chiesti perchè assegnare il Nobel per la Pace ad Internet. Tra pro e contro, si è spesso sottovalutato questo mezzo, senza tenere in considerazione, casi evidenti in cui la rete si è dimostrata cooperativa con conseguenze pratiche molto importanti. In queste pagine abbiamo provato a farne notizia. Attraverso la voce di personaggi noti (etichettati come dissidenti dai governi appartenenti) come Yoani Sànchez e quella di uomini e donne meno conosciuti ma con molto da dire, la rete mostra tutto il suo potenziale soprattutto nella spiccata socialità della sua tessitura. Ricordiamo qualche post fa, l’uso esemplare della piattaforma Ushahidi per far fronte all’emergenza incendi in Russia. Ed è proprio da qui che continuano ad arrivare interessanti segnali per analisti e sociologi.
Trovate gli esempi su Global Voices
Come previsto, le reazioni imperversano ovunque in Cina in risposta all’assegnazione del premio Nobel per la pace a Liu Xiaobo. Grazie all’ottimo lavoro del sempre attento Global Voices, leggiamo alcuni dei commenti dei citizen in merito alla questione.
Seguite il link
Indonesia: cancellata la legge che vieta la libertà d’espressione
Published ottobre 25, 2010 Login 1 CommentRiporto di seguito la notizia:
Jakarta (AsiaNews) – La Corte Costituzionale indonesiana (Mahkamah Konstitusi – Mk ) ha emanato il 13 ottobre scorso una sentenza per spogliare il procuratore generale del suo potere di divieto e censura sui libri. La sentenza è un importante passo avanti per la libertà d’espressione in Indonesia. A gennaio di quest’anno Rahmat Bagja e Fatahillah Hoed, due avvocati del Center for information law, hanno presentato una petizione alla Corte Costituzionale per revocare la legge n. 4/PNPS/1963, che forniva la base legale al procuratore per vietare i libri. Essa era stata mantenuta anche durante l’amministrazione dell’ex presidente Megawati Soekarnoputri.
Nella sessione plenaria del 13 ottobre, il giudice Mahfud MD ha dichiarato: “L’attuale legge n. 4/PNPS/1963 viola la Costituzione indonesiana del 1945, per questo essa deve essere revocata e non più rispettata”. Grazie a questa legge il presidente Suharto, negli anni della sua dittatura (1967-1998), ha manipolato l’ufficio di Procura Generale per schiacciare qualsiasi “nemico” politico, censurando libri e materiale stampato che contenevano critiche sul governo.
La relazione presentata a gennaio affermava che solo dal 2006 la Procura Generale ha vietato almeno 22 libri, di cui 13 di storia per le scuole medie inferiori e superiori. I libri si riferivano in particolare alla controversa questione del fallito colpo di stato comunista del 30 settembre 1965, che aveva portato al potere Suharto in seguito all’uccisione di 7 generali dell’esercito. La tesi dei volumi sosteneva che quella tragedia era stata provocata da questioni interne all’esercito – tesi che il presidente Suharto e il suo regime hanno sempre negato.
Fonte: Asianews
I Paid a bribe: un sito in India per denunciare la corruzione politica
Published ottobre 19, 2010 Login Leave a CommentI Paid a Bribe, è il progetto indiano dedicato alla lotta contro la corruzione politica dilagante in India, con cui i cittadini ogni giorno si scontrano, costretti a pagare grosse tangenti alle cariche politiche, in cambio di comunissimi servizi. La situazione è veramente insostenibile nonchè frustrante.
Nasce, per questo, il progetto organizzato da Janaagraha e lanciato il 15 agosto 2010 (il giorno dell’Indipendenza dell’India). Il coordinatore dell’iniziativa è T.R. Raghunandan, un ex-alto funzionario pubblico, che spiega che l’obiettivo è “costruire un’istantanea dello scenario della corruzione in India.”.
Una volta raccolti i dati, inseriti dagli utenti (in forma totalmente anonima), vengono assemblati ed incrociati in modo da fornire un quadro preciso dei settori maggiormente interessati dalla corruzione ed i modi utilizzati. Successivamente lo stesso Raghunandan, si occupa di contattare personalmente il governo ed i dipartimenti suggerendogli di prendere provvedimenti.
Tra le tante voci di menu, troviamo l’emblematico “Corruzioni Tipiche”, che svela la realtà raccogliendo i modus operandi nonchè le richieste più diffuse.
I cittadini sono intimoriti dal governo spiega Raghunandan. Spesso mancano le informazioni basilari per comunicare in maniera consapevole ed informata con i singoli enti, questo genera imbarazzo e timore. Per questo motivo tra le voci di menu vediamo apparire “Ask Raghu”, pagina dalla quale l’organizzatore si ripromette di rispondere alle domande degli utenti del sito.
Ci sarebbe da sperare che quest’esempio faccia scuola, per incoraggiare la reazione di quanti vengono piegati giornalmente dalle ingiustizie della corruzione.
Listen to The Banned: Musica e rete, contro la censura
Published ottobre 10, 2010 Uncategorized Leave a CommentMusica e web contro la censura, perchè se è vero che per i discografici la rete rappresenta ancora una minaccia, per gli artisti emergenti è l’opportunità per farsi notare. Potremmo dire lo stesso per quanti ogni giorno cercano di abbattere la censura attraverso l’arte. Per questo motivo nasce il progetto Listen to the Banned.
Listen to the Banned è ideato e promosso da Freemuse e Deeyah un musicista pakistano-norvegese che per anni ha subito persecuzioni a causa della sua musica e ora si dedica a promuovere i diritti umani e la libertà di espressione.
Lo scopo è promuovere la musica di quegli artisti che nel loro paese d’origine sono stati obbligati a smettere la propria attività artistico/musicale a causa della censura. Nel sito web dedicato al progetto si può ascoltare il CD (diffuso attraverso i social network), conoscere la storia degli artisti che ne hanno preso parte anche attraverso Twitter, fare un salto su Youtube per ascoltare alcuni estratti e visitare la pagina Facebook per sostenere la causa.
Tra le testimonianze raccolte da Global Voices OnLine su Twitter, abbiamo trovato quella di Farhad Darya:
poco più di una settimana fa ha tenuto un concerto a Kabul per festeggiare assieme alle donne afgane la Giornata internazionale della pace. Quel giorno, in chiusura del concerto, una bomba è esplosa nella zona adibita a parcheggio ferendo 13 persone:
Per milioni di afgani Farhad Darya simboleggia il ritorno della musica dopo la caduta dei talebani nel 2001. I talebani bandirono la musica, i film, e la televisione in tutto l’Afghanistan dal 1996, anno in cui salirono al potere, fino alla loro caduta per mano degli americani. Sin da quel momento, una delle prime voci ritrasmesse alla radio fu quella di Farhad Darya, uno dei musicisti più influenti nella scena musicale popolare afghana dalla metà degli anni ‘80. Costretto all’esilio negli anni dell’ascesa al potere talebana, rimase popolare tra milioni di cittadini afgani.</blockquote>
Musica e rete si tengono per mano per superare la censura.
Il governo cinese anche troppo prevedibilmente, non ha mancato l’appuntamento con la repressione dei festeggiamenti dei cittadini per l’assegnazione al Nobel per la Pace al dissidente pacifico Liu Xiaobo, in prigione dal 2008 per aver diffuso il documento Carta 08, in cui si chiedono riforme politiche e maggiore libertà di riunione, di stampa e di religione.
Dopo aver manifestato il dissenso attraverso un comunicato stampa rivolto al comitato di Stoccolma, il governo cinese ha impiegato tutte le forze per abbattere ogni qualsivoglia tipo di diffusione della notizia. Oltre ad impedire alla moglie Liu Xia di rilasciare interviste alla stampa, ed interrompere i tg che passavano la notizia, il governo non s’è fermato e con la mobilitazione delle forze dell’ordine cinesi, ha represso le celebrazioni spontanee che in tutto il paese sono esplose dopo il comunicato.
Internet poteva essere da meno? Diversi netizen sono stai arrestati, tutti gli articoli su blog e testate on-line sono stati cancellati, il termine in cinese per “Premio Nobel” (諾貝爾) e “Premio per la Pace” (和平獎) è introvabile sui maggiori motori di ricerca, molti utenti attraverso Twitter hanno lamentato problemi con l’invio di sms di testo contenenti nome e cognome di Liu Xiaobo.
La rete dei netizen cinesi tenta, nonostante tutto, di aggirare la censura attraverso l’uso della lingua inglese e diverse fotografie sono comunque riuscite a circolare in rete.
Nell’incoraggiare la liberazione del premio Nobel per la Pace 2010 Liu Xiaobo, pensiamo che non basta fregiarsi dell’organizzazione di un Expo ed una Olimpiade, per travestirsi da paese civile agli occhi del mondo, ma occorre una ristrutturazione più profonda ed un nuovo modo di pensare al futuro.