Islam in the Digital Age di Gary Bunt

Ancora un articolo sul sito del Corriere della Sera, analizza le contraddizioni dell’Islam nelle sue mille manifestazioni in rete. L’intervento fa riferimento al saggio Islam in the Digital Age di Gary Bunt, professore del dipartimento di studi islamici dell’università gallese di Lampeter.

L’ISLAM VIRTUALE: L’IDEA DEL SACRO E DEL DIRITTO NELLA RIVOLUZIONE DIGITALE

Vi invito a leggere questo interessante articolo di Claudia Genzano, Dott.ssa in “Storia e Società”, Corso di laurea magistrale presso l’Università degli Studi Roma Tre. Di recente ha approfondito i suoi studi nel campo della storia e delle relazioni internazionali, con particolare riferimento ai rapporti tra l’Europa ed il Medio Oriente.

Questo intervento analizza il rapporto tra Islam e nuove tecnologie, su tutte la rivoluzione web, fornendoci degli interessanti spunti per comprendere appieno come il web abbia provocato dei cambiamenti nell’Islam “occidentalizzando” alcune pratiche quotidiane e modificando il modo di rapportarsi alla religione, soprattutto permettendo alla pluralità di musulmani di conoscere alcune correnti islamiche minoritarie, prima emarginate, che adesso godono di una vetrina importante per manifestare il proprio credo.

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Turchia: A 48h dallo sblocco di YouTube, torna sui suoi passi

L’aspra politica censoria che aveva impedito l’accesso agli internauti Turchi al sito YouTube dal 2008, sembrava essere finalmente finita. Ma l’illusione è durata poco.

A 48h. dalla decisione di revoca del blocco imposto da 2 anni al sito YouTube in Turchia, l’Authority per le Telecomunicazioni torna sui suoi passi ed impone un nuovo oscuramento del noto servizio di Google a seguito di una sentenza del tribunale di Ankara. La causa scatenante sembrerebbe essere identica a quella che aveva scatenato il governo 2 anni prima: il rifiuto della rimozione di un video che in questo caso mostrava Deniz Baykal, ex leader del Partito Repubblicano del Popolo in intimità con una donna.

fonte: ansa.it

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Russia: la cooperazione sociale passa dalla rete

Spesso ci si chiede quale sia il reale contributo che la rete offre nella vita reale. La domanda non riguarda certamente i già evidenti risvolti pratici quali pagamento di bollette, acquisto di merci e beni e neanche quelli ancora più evidenti di comunicazione.

Nell’anno appena trascorso ci si è spesso chiesti perchè assegnare il Nobel per la Pace ad Internet. Tra pro e contro, si è spesso sottovalutato questo mezzo, senza tenere in considerazione, casi evidenti in cui la rete si è dimostrata cooperativa con conseguenze pratiche molto importanti. In queste pagine abbiamo provato a farne notizia. Attraverso la voce di personaggi noti (etichettati come dissidenti dai governi appartenenti) come Yoani Sànchez e quella di uomini e donne meno conosciuti ma con molto da dire, la rete mostra tutto il suo potenziale soprattutto nella spiccata socialità della sua tessitura. Ricordiamo qualche post fa, l’uso esemplare della piattaforma Ushahidi per far fronte all’emergenza incendi in Russia. Ed è proprio da qui che continuano ad arrivare interessanti segnali per analisti e sociologi.

Trovate gli esempi su Global Voices

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Il Nobel tanto discusso

Come previsto, le reazioni imperversano ovunque in Cina in risposta all’assegnazione del premio Nobel per la pace a Liu Xiaobo. Grazie all’ottimo lavoro del sempre attento Global Voices, leggiamo alcuni dei commenti dei citizen in merito alla questione.

Seguite il link

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Listen to The Banned: Musica e rete, contro la censura

Musica e web contro la censura, perchè se è vero che per i discografici la rete rappresenta ancora una minaccia, per gli artisti emergenti è l’opportunità per farsi notare. Potremmo dire lo stesso per quanti ogni giorno cercano di abbattere la censura attraverso l’arte. Per questo motivo nasce il progetto Listen to the Banned.

Listen to the Banned è ideato e promosso da Freemuse e Deeyah un musicista pakistano-norvegese che per anni ha subito persecuzioni a causa della sua musica e ora si dedica a promuovere i diritti umani e la libertà di espressione.

Lo scopo è promuovere la musica di quegli artisti che nel loro paese d’origine sono stati obbligati a smettere la propria attività artistico/musicale a causa della censura. Nel sito web dedicato al progetto si può ascoltare il CD (diffuso attraverso i social network), conoscere la storia degli artisti che ne hanno preso parte anche attraverso Twitter, fare un salto su Youtube per ascoltare alcuni estratti e visitare la pagina Facebook per sostenere la causa.

Tra le testimonianze raccolte da Global Voices OnLine su Twitter, abbiamo trovato quella di Farhad Darya:

poco più di una settimana fa ha tenuto un concerto a Kabul per festeggiare assieme alle donne afgane la Giornata internazionale della pace. Quel giorno, in chiusura del concerto, una bomba è esplosa nella zona adibita a parcheggio ferendo 13 persone:

Per milioni di afgani Farhad Darya simboleggia il ritorno della musica dopo la caduta dei talebani nel 2001. I talebani bandirono la musica, i film, e la televisione in tutto l’Afghanistan dal 1996, anno in cui salirono al potere, fino alla loro caduta per mano degli americani. Sin da quel momento, una delle prime voci ritrasmesse alla radio fu quella di Farhad Darya, uno dei musicisti più influenti nella scena musicale popolare afghana dalla metà degli anni ‘80. Costretto all’esilio negli anni dell’ascesa al potere talebana, rimase popolare tra milioni di cittadini afgani.</blockquote>

Musica e rete si tengono per mano per superare la censura.

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Dopo il Nobel, la repressione


Il governo cinese anche troppo prevedibilmente, non ha mancato l’appuntamento con la repressione dei festeggiamenti dei cittadini per l’assegnazione al Nobel per la Pace al dissidente pacifico Liu Xiaobo, in prigione dal 2008 per aver diffuso il documento Carta 08, in cui si chiedono riforme politiche e maggiore libertà di riunione, di stampa e di religione.

Dopo aver manifestato il dissenso attraverso un comunicato stampa rivolto al comitato di Stoccolma, il governo cinese ha impiegato tutte le forze per abbattere ogni qualsivoglia tipo di diffusione della notizia. Oltre ad impedire alla moglie Liu Xia di rilasciare interviste alla stampa, ed interrompere i tg che passavano la notizia, il governo non s’è fermato e con la mobilitazione delle forze dell’ordine cinesi, ha represso le celebrazioni spontanee che in tutto il paese sono esplose dopo il comunicato.

Internet poteva essere da meno? Diversi netizen sono stai arrestati, tutti gli articoli su blog e testate on-line sono stati cancellati, il termine in cinese per “Premio Nobel” (諾貝爾) e “Premio per la Pace” (和平獎) è introvabile sui maggiori motori di ricerca, molti utenti attraverso Twitter hanno lamentato problemi con l’invio di sms di testo contenenti nome e cognome di Liu Xiaobo.

La rete dei netizen cinesi tenta, nonostante tutto, di aggirare la censura attraverso l’uso della lingua inglese e diverse fotografie sono comunque riuscite a circolare in rete.

Nell’incoraggiare la liberazione del premio Nobel per la Pace 2010 Liu Xiaobo, pensiamo che non basta fregiarsi dell’organizzazione di un Expo ed una Olimpiade, per travestirsi da paese civile agli occhi del mondo, ma occorre una ristrutturazione più profonda ed un nuovo modo di pensare al futuro.

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